Cos’è la pedagogia dell’ascolto?
L’ascolto, un’arte quanto mai desiderata da ogni insegnante: “Quando parlo, i miei studenti mi ascoltano!”. Che soddisfazione!
Ma come generare questo ascolto con i propri alunni? Saliamo sulle spalle di alcuni giganti, per scoprire come diventare abili artisti dell’ascolto.
L’ascolto è più un’arte educativa, che una vera e proprio strumento didattico, anche se più avanti vedremo alcune traduzioni applicabili proprio nella didattica. L’ascolto è, innanzitutto, il risultato di una certa impostazione in termini relazionali e pedagogici, anche se è possibile recuperare una certa tecnicità dell’ascolto, andando a ritrovare quali sono gli elementi per produrlo.
La pedagogia dell’ascolto: gli ingredienti fondamentali
Richiamiamo, allora, la “pedagogia dell’ascolto” per farci guidare in questa ricerca. La pedagogia dell’ascolto viene ricondotta ad Alessandra Ginzburg, psicoanalista con funzioni didattiche della Società Italiana di Psicoanalisi (SPI) che, negli anni ’70, porta la sua teoria dell’ascolto all’interno del Movimento di Cooperazione Educativa romano. Alessandra Ginzburg sottolinea che l’ascolto è attivo, non passivo, che deve essere scelto e voluto da chi lo produce, che è causato dall’“intreccio inestricabile fra pensiero ed emozione”. È, infatti, premessa necessaria trovare uno sguardo verso gli alunni come soggetti attivi, perché possano attivamente conquistarsi l’imparare, con fatica e piacere.
La relazione
Affinché l’azione dell’ascolto diventi una scelta attiva, l’ingrediente fondamentale da curare è proprio la relazione. La relazione è come il sale in cucina, è invisibile, ma quando manca tutti se ne accorgono, perché l’esperienza del gusto viene radicalmente deprivata di qualcosa. Come ogni piatto ha bisogno della giusta quantità di sale, così ogni asse di un progetto educativo, ogni insegnamento, ha bisogno dell’ingrediente della relazione, nei suoi aspetti di cura, di ascolto, di partecipazione, di legittimazione dei diversi sguardi, di coerenza nel disegno educativo che si persegue e di condivisione degli strumenti educativi. Eppure, la dimensione della relazione è quella in cui chi lavora in ambito educativo è più sguarnito, perché mancano le esperienze di apprendimento che la sostengono e spesso viene data per scontata, proprio come il sale.
La reciprocità
Abbiamo, però, alcune esperienze significative che possono fungere da guida, possibilità a cui poter attingere per implementare la propria didattica di questo ingrediente fondamentale. Franco Lorenzoni, maestro della scuola elementare di Giove in Umbria, relatore ad un convegno presso l’Università Bicocca di Milano a cui avevo partecipato diversi anni fa, ci conduceva dentro la danza dell’ascolto, ponendo l’accento su un elemento fondamentale: la reciprocità.
Infatti, affinché ci sia un reale ascolto, è necessaria reciprocità. L’ascolto funziona solo se siamo disposti a entrare in una danza, in cui il primo passo che facciamo è un passo indietro, come ci suggerisce la parola stessa “reciprocità”, dove “recus” vuol dire ‘indietro’: solo lasciando questo spazio all’altro di incontrarci, allora posso poi fare un passo avanti, seguendo così i tempi suggeriti dalla parola stessa, in cui “procus” significa ‘avanti’.
Il rischio: lo spazio dell’assenza
In quel passo indietro è possibile ricercare il secondo ingrediente per portare l’ascolto in classe: si tratta infatti di un passo nel vuoto. Fa venire i brividi, ma senza un po’ di rischio, l’ascolto non è possibile. Il vuoto fa paura, l’horror vacui, la teoria aristotelica secondo cui la natura rifugge il vuoto, ha lasciato le sue impronte nella nostra cultura, che riempie continuamente tutto, alla rincorsa del prossimo oggetto da acquistare o della prossima conoscenza da insegnare. Perciò, ci si ritrova a riempire costantemente il vuoto di contenuti, a evitare l’imprevisto. Però, è proprio necessario riportare all’interno del tempo scolastico quello spazio d’assenza: un’assenza di giudizio, un’assenza di fretta, un’assenza di contenuti mentali, dove l’altro, il meraviglioso autentico ascolto dell’altro, può allora avvenire e prendere spazio, dentro quel vuoto. Da quello spazio poi, chissà, forse, invece che orrore, potremo trovare meraviglia, il meraviglioso pensiero dei bambini!
Il rispetto
Infine, perché la danza possa compiere i suoi passi avanti e indietro, l’ultimo ingrediente, il terreno su cui danzare, è il rispetto. Per creare un clima d’ascolto in questa danza infinita è necessario creare un contesto in cui chi ascolta, ed è ascoltato, sa di potersi esprimere, di potersi esporre in un luogo sicuro, in cui le sue fragilità sono sostenute e rese opportunità, curandosi che non diventino righe rosse di vergogna da cui rifugiarsi. Per cui schernire, giudicare, manipolare, sminuire il pensiero altrui e così via, sono tutte azioni vietate dal gioco.
Uno stile d’insegnamento fatto di domande: il dialogo euristico
Per portare nella didattica un clima di ascolto abbiamo a disposizione alcuni suggerimenti raccolti dal Movimento delle Avanguardie Educative di Indire.
Il primo è il “dialogo euristico”, una pratica didattica adatta soprattutto alle scuole dell’infanzia e primaria, che lascia spazio alla domanda: una domanda di ricerca che legittima il pensiero dei bambini e delle bambine e il loro desiderio di scoprire e di imparare.
Partendo dalle semplici e grandi domande che abitano il cuore e la mente dei bambini, è così possibile impostare un apprendimento basato sull’ascolto e sulla ricerca. Dove la documentazione diventa lo strumento con cui l’insegnante guida l’apprendimento e allo stesso tempo ne tiene traccia. Considerando i bambini come ricercatori, creatori della realtà e del presente, il sapere diventa per loro un piacere da conquistare. L’ascolto si attiva, proprio perché questo strumento didattico permette quel primo passo indietro che abbiamo menzionato precedentemente nell’articolo. Domandare, lasciare spazio perché le domande sgorghino è, infatti, il primo passaggio di questa modalità di tradurre l’esperienza di apprendimento in classe.
Per approfondire la pratica del dialogo euristico, è possibile ascoltare un episodio podcast che ne riassume i principi in 10 minuti: si può ascoltare qui.
Come rendere il pensiero visibile: da dove nascono le domande di ricerca
Un altro strumento, utile per ridare all’ascolto centralità e adatto anche alle scuole secondarie, è l’MLTV – Rendere visibili pensiero e apprendimento. Altra Idea messa a repertorio dal Movimento delle Avanguardie Educative.
Tra gli obiettivi che questa idea d’insegnamento raggiunge, ci sono:
- incoraggiare una cultura della classe come comunità democratica orientata, quindi, al rispetto reciproco, all’ascolto dell’altro e alla collaborazione;
- sviluppare la consapevolezza del proprio pensiero, dei propri processi cognitivi, del proprio metodo di studio.
L’idea MLTV deriva dall’integrazione di due framework creati da Project Zero, un gruppo di ricerca della Harvard Graduate School of Education di Boston, che sono stati poi adattati al contesto della scuola secondaria italiana. Alla base di questa modalità didattica ci sono le Thinking Routines. Infatti, secondo il gruppo di studiosi che hanno lavorato a Project Zero, è possibile rendere visibile il pensiero, proprio attraverso delle ripetizioni nel modo in cui strutturiamo l’apprendimento in classe.
Si tratta di esercizi che possono essere ripetuti con una certa frequenza e che contribuiscono a sviluppare un’abitudine sistematica al pensiero critico, attraverso semplici strutture che aiutino gli studenti, passo dopo passo, a formulare apprendimenti significativi.
See, Think, Wonder
Una delle Thinking Routine più note e facili da utilizzare è quella chiamata “See, Think, Wonder”, che invita gli studenti a “farsi delle domande” a partire da un input visivo significativo e capace di provocare riflessioni profonde. Da notare la parola ‘wonder’, che significa domandarsi, ma anche meraviglia, stupore: è infatti attraverso la domanda che i ragazzi restano in contatto con la meraviglia della scoperta insita nella conoscenza.
La capacità di “carpire l’essenza e formulare conclusioni” può essere poi allenata attraverso una Thinking Routine chiamata “4C”, nella quale lo studente è invitato a rispondere a quattro domande chiave per fare sintesi di un testo letto o di un argomento appena approfondito.
Le domande sono:
- COLLEGAMENTI: quali collegamenti riesci a trovare tra ciò che hai letto e ciò che sai?
- CRITICA: quali idee o posizioni vengono criticate dal testo che hai letto?
- CONCETTI: quali concetti vale la pena ricordare del testo che hai letto?
- CAMBIAMENTI: quali cambiamenti nell’atteggiamento, nel pensiero o nell’azione vengono suggeriti dal testo che hai letto?
Tanto “See, Think, Wonder” quanto “4C” sono attività intuitive che non richiedono alcuna preparazione specifica e che coinvolgono lo studente in maniera stimolante e divertente. Se utilizzate in maniera regolare nel tempo, contribuiscono in modo significativo a creare una comunità-classe in cui l’ascolto del pensiero proprio e altrui diventano legittimanti e auspicabili per produrre conoscenza.
Per approfondire la struttura alla base di quest’Idea abbiamo sempre il podcast “Idee per Insegnare”, all’episodio numero 6, che riassume l’origine della pratica e la sua attuazione in alcune scuole: è possibile ascoltarlo qui.
Così, addentrandoci nella pratica della domanda, possiamo scoprire che non esistono risposte giuste o sbagliate in sé, ma solo quell’ascolto che rende possibile consegnare spazio alle parole e ai pensieri di ciascuno.
Che cosa ne pensi? Potresti provare ad attuare questa Idea nella tua classe?
Gentilissimi,
potreste indicare materiale bibliografico in merito alla pedagogia dell’ascolto? Grazie
Ciao Arianna,
grazie per la tua domanda! Ecco alcuni titoli utili per approfondire l’argomento:
– A cura di L.Parigi e F.Lorenzoni, Il dialogo euristico. Orientamenti operativi per una pedagogia dell’ascolto nella scuola, Carocci Editore, 2020
– F.Lorenzoni, I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento, Sellerio Ed., 2019
– D. Novara, L’ascolto si impara. Domande legittime per una pedagogia dell’ascolto, EGA Edizioni, 2000
Reggio Children – Project Zero (2009). Rendere visibile l’apprendimento. Bambini che apprendono individualmente e in gruppo. Reggio Emilia: Reggio Children
– D. Tamagnini, Si può fare. La scuola come ce la insegnano i bambini, La Meridiana, 2016
Molto interessata ad approfondire l’argomento della pedagogia dell’ascolto potrei avere dei riferimenti bibliografici?
Ciao Giulia,
puoi trovare alcuni riferimenti in risposta al precedente commento! Spero ti siano utili saperne di più sui temi trattati!