Lo spazio ha un valore didattico enorme e per questo è fondamentale esserne consapevoli. Un’aula scolastica, una cattedra, una lavagna, dei banchi disposti in file: siamo proprio sicuri che lo spazio così pensato sia il migliore per favorire l’apprendimento?
Perché lo spazio ha un valore didattico
Riprendendo brevemente quanto già approfondito nell’articolo Classe capovolta e Oltre le discipline: come possiamo aumentare il rendimento scolastico?, sappiamo che l’apprendimento profondo si declina nel contatto con l’esperienza del reale, ogni acquisizione può essere tale, solo se passa attraverso lo sperimentare, l’attuare.
Le stesse scienze, la ricerca neuroscientifica, la pedagogia, la psicologia e la biologia, concordano che ogni apprendimento è esperienziale: solo facendo esperienza di qualcosa possiamo apprenderla, cioè farla nostra. Strettamente collegata all’apprendimento è l’attenzione – come dimostrato dalle neuroscienze – che insieme all’emozione è responsabile della liberazione di neurotrasmettitori chiave, come la dopamina, che a loro volta facilitano la formazione di nuove connessioni neurali. Quindi, per elevare il rendimento degli studenti, è necessario predisporre contesti d’insegnamento che accendano l’interesse e rendano l’apprendimento piacevole.
Gli ambienti, bisogna ammetterlo e dichiararlo, non sono contenitori neutri, così come i cervelli dei bambini non sono contenitori vuoti.
Nel presente articolo riassumo quanto riportato in modo esaustivo dal documento Edilizia scolastica e spazi di apprendimento: linee di tendenza e scenari pubblicato da Fondazione Agnelli e redatto da Leonardo Tosi ed Elena Mosa, ricercatori di Indire.
La premessa è la sfida di portare un cambiamento in un Paese come l’Italia, le cui linee guida per la costruzione delle scuole sono ferme agli anni ’70. L’articolo sottolinea che solo recentemente la ricerca educativa riconosce al miglioramento dello spazio un ruolo didattico, che consente un innalzamento della qualità dell’apprendimento. Infatti, se le scuole sono state costruite sul “postulato che tutti dovessero acquisire le stesse nozioni negli stessi tempi e allo stesso modo”, oggi è stato riconosciuto il bisogno di ripensare agli spazi, per meglio renderli al servizio dell’apprendimento.
Le linee guida sull’edilizia scolastica di altri Paesi europei sono state aggiornate, con iniziative che hanno avuto ricadute più o meno virtuose e da cui è possibile imparare: ad esempio il Regno Unito le ha rinnovate nel 2014, la Danimarca e la Scozia nel 2007, l’Olanda nel 2012 e il Portogallo nel 2009.
Come cambia la conoscenza dentro diversi contesti
Cento anni fa una insegnante elementare scriveva in polemica con la scuola che insegnava attraverso il libro imparato a memoria:
“Che si fa oggi per dare la nozione del peso dei vari liquidi? Dopo aver detto che i liquidi hanno un diverso peso, si fa studiare agli scolari un elenco in cui i vari liquidi siano messi in gradazione rispetto appunto al loro peso. Sa meglio chi ha migliore memoria. Il metodo sperimentale invece porta il ragazzo a osservare che se egli mette in un bicchiere una certa quantità di acqua e poi una certa quantità di spirito, questo sta a galla e così succede se all’acqua unisce l’olio… alla fine di questi esperimenti tutti gli scolari sanno. La scuola solita dice ai bambini che le condizioni necessarie per lo sviluppo delle piante sono la luce, il calore. Il metodo sperimentale fa sì che il ragazzo, il quale abbia messo parecchi semi nell’acqua ed altri no, tocchi con mano la necessità dell’acqua nella vegetazione e della luce ponendo a crescere una piantina al sole e un’altra al buio”.
(Giuseppina Pizzigoni, La scuola elementare rinnovata secondo il metodo sperimentale, 1921.)
L’alfabetizzazione e l’istruzione di massa sono state conquistate e, sulla base di ciò che è stato realizzato in passato, è ora possibile pensare a un futuro diverso e migliore, dove andiamo verso una progressiva acquisizione di pratiche educative che sappiano raggiungere e tenere insieme conoscenza profonda e crescita sul piano umano.
L’idea alla base del documento pubblicato da Fondazione Agnelli è che la struttura scolastica, così come la sua didattica, abbiano il compito di rispondere al tempo storico e sociale entro cui sono inserite. Un tempo sociale che chiede in modo sempre più pressante di passare dal tempo dell’istruzione omologata a quello della costruzione di conoscenze e dello sviluppo di competenze chiave, che non possono solo essere comunicate, ma necessitano di essere esperite.
Citando le parole di un autorevole studioso dei processi cognitivi: “Quello che la scuola di oggi dovrebbe fare è passare dalla concezione di uno studente con una ‘testa piena’ ad uno con una ‘testa ben fatta” (Morin, 2000).
Per capire come lo spazio, gli arredi e i materiali rispondo alle esigenze storiche del tempo, riprendiamo la storia delle cose, degli oggetti che compongono la scuola.
Ad esempio, rispetto al banco, elemento cardine del setting della classe, lo studioso Meda (2011, 2018) spiega che questo rientra, a pieno titolo, tra i “mezzi di educazione di massa, intesi come sussidi didattici, gli strumenti di scrittura e gli articoli di cancelleria di vario genere prodotti da un certo momento in avanti su scala industriale e per questo opportunamente sterilizzati al fine di indurre una generalizzata omologazione dei metodi di insegnamento e di processi di apprendimento, oltre ad una uniformità dei contenuti educativi, in coincidenza del processo di massificazione dell’istruzione elementare e popolare in atto nella società italiana a partire già dagli ultimi decenni del XIX secolo, conseguentemente alla definitiva affermazione del principio dell’obbligo scolastico”.
Infatti, l’origine del banco scolastico è la risposta a un bisogno sociale del secolo scorso, quando, iniziando a definire quali dovessero essere i livelli minimi di istruzione accanto ad un boom delle nascite, risultò necessario creare degli ambienti in cui far sedere contemporaneamente un certo numero di studenti e disciplinarne il comportamento.
È chiaro che questi oggetti non rispondono più alle sfide della società attuale, in cui l’inerzia e l’inattività della lezione trasmissiva si contrappongono alla velocità della comunicazione dei social, alla connettività dei device individuali: “Se un viaggiatore nel tempo potesse arrivare dall’ottocento faticherebbe certamente a riconoscere il mondo, stenterebbe a capire il mondo delle comunicazioni, quelle su strada come quelle via etere, gli uffici postali, i supermercati, i cinema e altri spazi pubblici. Tuttavia, questo ipotetico viaggiatore probabilmente riconoscerebbe un’aula scolastica con i suoi banchi, la cattedra e la lavagna: uno degli ambienti che ha subito minori cambiamenti” (Biondi, 2007).
Alcuni esempi di come i contesti hanno cambiato le modalità di apprendimento e risposto alle esigenze del tempo ci sono anche in Italia. Ad esempio, gli spazi richiamati dai bandi PON dell’aula aumentata: cioè dei kit, a disposizione di tutta la scuola, che possono trasformare l’aula normale in uno spazio multimediale flessibile e di interazione.
Oppure il movimento ideato da Loris Malaguzzi, il Reggio Children, che per le scuole dell’infanzia ha avuto il merito di promuovere lo spazio assegnandogli il ruolo di “terzo insegnante”, dopo l’adulto e i compagni. E ancora, le Scuole Senza Zaino, hanno ripensato l’allestimento del setting educativo, basandosi sia al modello pedagogico-educativo della scuola che alle relazioni alla base dei rapporti tra gli attori scolastici.
Anche il Nuovo Umanesimo che ha ispirato la stesura delle Indicazioni Nazionali per il Curricolo della Scuola dell’Infanzia e del Primo Ciclo d’Istruzione, afferma che “un’acquisizione dei saperi richiede un uso flessibile degli spazi, a partire dalla stessa aula scolastica, ma anche la disponibilità di luoghi attrezzati che facilitino approcci operativi alla conoscenza per le scienze, la tecnologia, le lingue comunitarie, la produzione musicale, il teatro, le attività pittoriche, la motricità…”.
Infine, riporto l’esempio di Piacenza, con la Rete Scuole che Costruiscono che mette in rete una serie di istituti della città, che costruiscono un’ambiente:
- attrezzato dove “lavorare, dotato di arredi dedicati e di una molteplicità di strumenti tattili e digitali, che sono ben ordinati, pronti all’uso, curati e mantenuti. Il bravo artigiano (l’insegnante) deve saper attrezzare la propria bottega e saper insegnare all’apprendista non solo come si usa ma anche come si organizza, come si pulisce, come si tiene in ordine”… (Marco Orsi “L’ora di lezione non basta);
- che racconta le esperienze, i percorsi didattici-educativi che il gruppo sezione / classe sta vivendo;
- che suscita idee e sollecita a trovare soluzioni e ad inventare prodotti;
- che contribuisce a costruire il senso della dimensione estetica e dei modi della conoscenza.
Come ci suggerisce più e più volte il documento di Leonardo Tosi e Elena Mosa, “Il ripensamento degli spazi ha come principale obiettivo quello di mettere al centro del processo di apprendimento lo studente, coinvolgerlo, ingaggiarlo in compiti autentici, attività che lo appassionino anche facendo uso dei linguaggi della società della conoscenza, i codici multimediali (Mosa, 2012) per intercettare le diverse intelligenze che lo contraddistinguono (Gardner, 1987), che lo preparino ad essere competente più che carico di nozioni” (Morin, 2000).
Allestire contesti: cosa imparare dagli altri
Nel 2005, alla luce del nuovo contesto sociale, economico e tecnologico, a livello europeo è stato istituito il Centre for Effective Learning Environments (CELE), che realizzò un progetto di ricerca a livello internazionale, per identificare la capacità dello spazio di migliorare l’equità e l’accesso all’istruzione e quella di migliorare l’efficacia dell’apprendimento e la promozione di competenze chiave.
Quello che emerge dallo studio riportato dal dottor Tosi, rispetto a varie esperienze europee e internazionali, è l’esigenza di lavorare intorno a 3 pilastri per innovare i contesti:
- differenziazione – nei Paesi del Nord Europa sono stati realizzati diversi progetti edilizi di successo grazie a un processo partecipativo che coinvolge le istituzioni, i tecnici, gli utenti e le comunità (team di progetto partecipativo), dove la dimensione pedagogica è considerata a tutti gli effetti come parte integrante della progettazione;
- flessibilità e polifunzionalità – i Paesi che adottano un approccio prestazionale, in cui ci si focalizza sulle prestazioni che devono fornire i diversi spazi, hanno raggiunto migliori risultati rispetto ai paesi in cui prevaleva l’approccio prescrittivo, legato alle diverse normative basate esclusivamente su paramenti quantitativi restrittivi;
- apertura al territorio – nel considerare le diverse esigenze che la società di oggi pone rispetto all’uso del tempo, è necessario che le strutture scolastiche diventino dei luoghi in sinergia con il territorio, per coprire dei bisogni non soddisfatti dai servizi della comunità.
Così è possibile realizzare quanto scrisse Jerome Bruner nella sua riflessione sul sistema scolastico: “Insegnare una disciplina non vuol dire trasmettere informazioni relative a essa, ma avviare gli studenti verso il modo di studiare tipico di quella disciplina, consentendo loro di sperimentare, scoprire e partecipare al processo di produzione di conoscenza proprio della disciplina stessa”.
Come proporre una ristrutturazione degli spazi nella propria scuola?
Nel documento qui riassunto, i due autori insistono più volte sulla necessità che la proposta di ripensamento degli spazi avvenga sotto la regia di uno o più docenti innovatori, “in grado di orchestrare metodi didattici diversi e strumenti tradizionali e digitali in un discorso coerente, ponderato, che prende vita in ambienti di apprendimento idonei a sostanziare questi processi”.
Avanguardie Educative nasce proprio da un desiderio di ripensamento dal basso delle pratiche didattiche e degli spazi che le ospitano. Il progetto prende vita dalla considerazione che, spesso, le pratiche di rigenerazione del sistema scuola si innescano in contesti particolari, dove ci sono una serie di elementi che permettono il cambiamento.
Per non lasciare queste pratiche nella sfera dell’eccezionalità, Avanguardie Educative mette in contatto le scuole e i docenti interessati ad una sperimentazione con altre realtà che le hanno già implementate, attraverso una serie di azioni di supporto sia in presenza che in comunità di pratiche online.
Le pratiche innovative raccolte si declinano in una ventina di Idee, tra le quali ne evidenziamo due, che incidono in modo specifico sulla gestione e progettazione degli spazi e delle architetture scolastiche e che è possibile approfondire nei seguenti episodi podcast:
- Episodio 9: Aule Laboratorio Disciplinari – Mette in relazione il contesto dell’aula con le varie discipline;
- Episodio 10: Spazio flessibile – Si pone in apertura verso il contesto esterno alla classe e modifica il suo assetto fisico, tramite modifiche nella disposizione degli arredi, sempre per favorire approcci laboratoriali e collaborativi.
Conoscevi già queste teorie sullo spazio? Che cosa ne pensi? La tua scuola ha aderito a qualche iniziativa in proposito?
Per non allungare troppo l’articolo lascio qui, nel primo commento, la bibliografia:
Tosi L., Mosa E. (Indire), Edilizia scolastica e spazi di apprendimento: linee di tendenza e scenari, dicembre 2019,
Giuseppina Pizzigoni, La scuola elementare rinnovata secondo il metodo sperimentale, 1921
Morin E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, Milano, 2000
Meda, J., Mezzi di educazione di massa. Nuove fonti e nuove prospettive di ricerca per una “storia materiale della scuola” tra XIX e XX secolo, in: “History of Education & Children’s Literature”, VI, 1, Macerata, EUM Edizioni Università di Macerata, 2011
Meda, J., L’évoLution du banc d’écolier en italie de la fin du xixe siècle à la première moitié du xxe siècle, in Éducation et Culture matérielle en France et en Europe du XVIE siècle à nos jours, 2018
Biondi, G., La scuola dopo le nuove tecnologie, Apogeo, Milano, 2007
Gardner, H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano, 1987
Mosa, E., I linguaggi multimediali nella didattica, Scuola Valore, Indire, Firenze, 2012
MIUR, Indicazioni Nazionali e Nuovi Scenari, 2018
MIUR, Linee guida per l’edilizia scolastica, 2013
Comune di Reggio Emilia, L’esperienza di “Scuola diffusa” diventa proposta didattica e pedagogica nazionale, 28 febbraio 2022
Indicazioni Nazionali per il Curricolo della Scuola dell’Infanzia e del Primo Ciclo d’Istruzione, settembre 2012,
Scuole Senza Zaino
Scuole che costruiscono
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